In Breve (TL;DR)
- OpenEvidence è un chatbot AI gratuito progettato per supportare i medici, permettendo di accedere rapidamente a ricerche scientifiche e linee guida aggiornate attraverso prompt in linguaggio naturale.
- La piattaforma è alimentata da un ampio database di pubblicazioni mediche e vanta collaborazioni con riviste prestigiose come JAMA e NEJM. È pensata per facilitare la presa di decisioni cliniche e aggiorna costantemente i professionisti sanitari.
- Nonostante il suo successo e l’adozione da parte di migliaia di medici, esistono dubbi sull’affidabilità clinica dei suggerimenti forniti e preoccupazioni per la presenza di contenuti sponsorizzati, che potrebbero influenzare la neutralità delle risposte.
OpenEvidence è il nuovo chatbot che sfrutta l’intelligenza artificiale generativa per supportare i medici nella presa di decisioni. Una piattaforma che accede alle più importanti ricerche scientifiche in ambito sanitario e che le sa analizzare in base alla singola richiesta caricata sotto forma di prompt.
La mission di OpenEvidence e del suo founder Daniel Nadler è molto nobile, così come è degno di nota il fatto che lo strumento, ad oggi, è a disposizione di tutti i professionisti sanitari in forma del tutto gratuita.
OpenEvidence inoltre è davvero molto facile da usare, anche se ci sono alcune perplessità in merito alle sue reali capacità di accompagnare il medico nella presa di decisioni. Da un lato per il livello di competenza con cui l’AI analizza documenti complessi, dall’altro per la presenza di contenuti sponsorizzati che rischiano di fare più l’interesse degli stakeholder che quello dei pazienti.
A che cosa serve OpenEvidence

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OpenEvidence è una piattaforma che sfrutta le potenzialità dell’intelligenza artificiale generativa per aiutare i medici nell’esercizio della loro professione. Lato front-end, l’utente si trova di fronte a un classico chatbot, con cui può interagire attraverso prompt scritti.
Attraverso una serie di algoritmi proprietari, OpenEvidence analizza quanto richiesto e poi attinge al suo database, composto da migliaia di pubblicazioni e documenti scientifici, in modo da fornire risposte attendibili e aggiornate.
Per fare un esempio concreto, un professionista può fare una qualsiasi domanda di tipo medico al chatbot di OpenEvidence. Ad esempio: quali sono gli ultimi aggiornamenti delle linee guida ADA?. Oppure: quali sono le migliori alternative da consigliare a pazienti intolleranti alla metformina?
Trattandosi di un’AI, la qualità delle risposte è strettamente legata a quella del materiale con cui è stata addestrata e, in questo senso, OpenEvidence vanta collaborazioni molto importanti: ad esempio la partnership strategica con il Journal of the American Medical Association e quella con il The New England Journal of Medicine.
Il chatbot di OpenEvidence passa in rassegna le informazioni contenute in migliaia di pubblicazioni scientifiche e assiste i medici nella presa di decisioni.
Altrettanto importanti i nomi degli investitori che hanno creduto nel progetto in questi anni: da Sequoia Investment a Google Ventures, OpenEvidence è stato scelto da diverse tra le realtà più influenti se si parla di supporto alla crescita di startup innovative.
D’altronde il suo founder Daniel Nadler aveva già dimostrato il tuo talento con Kensho e il suo chatbot Warren: un altro tool AI utilizzato addirittura nel 2012 per supportare la ricerca di informazioni e la presa di decisioni nel mondo finanziario.
Nadler detiene il 60% di OpenEvidence, che è valutata circa 3,5 miliardi di dollari. Una cifra monstre, che può essere compresa analizzando i dati di utilizzo della piattaforma: 8,5 milioni di consultazioni al mese, con una crescita quotidiana di circa 2.000 registrazioni.
Come si usa OpenEvidence

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Secondo i giornalisti americani, la nascita di OpenEvidence non è legata soltanto al talento professionale di Daniel Nadler, ma anche alla sua vita privata. Molti sostengono infatti che l’idea di supportare i medici con la tecnologia sia stata stimolata dalla perdita del nonno di Nadler, la cui scomparsa sarebbe legata a un errore umano.
La mission di OpenEvidence è organizzare ed espandere la conoscenza medica in tutto il mondo, cercando di rispondere alla sfida di un aumento costante delle informazioni. Le pubblicazioni scientifiche, spiega il team, raddoppiano ogni cinque anni e per i professionisti sanitari è sempre più difficile rimanere aggiornati.
Da qui l’idea di sviluppare una tecnologia capace di accedere rapidamente a questo patrimonio di informazioni e di elaborarle in base a richieste specifiche. Con la volontà dichiarata di mettere OpenEvidence a disposizione gratuita di tutti i professionisti che scelgono di registrarsi.
Per interagire con il chatbot di OpenEvidence è sufficiente ricorrere al linguaggio naturale, facendo domande più o meno mirate e più o meno complesse.
L’utilizzo del chatbot è molto intuitivo e l’utente non deve fare altro che scrivere la propria domanda o la propria richiesta all’interno della barra di ricerca. Magari tenendo conto dei suggerimenti forniti dalla stessa piattaforma, che invita ad esempio a fare domande sulle diverse opzioni di trattamento di fronte a un sintomo specifico, o sulle eventuali interazioni tra farmaci da prescrivere.
Per mettere alla prova le capacità di analisi e ricerca del chatbot di OpenEvidence è possibile chiedergli gli ultimi aggiornamenti in termini di ricerca scientifica legata a un qualsiasi tema. Magari legate a domande di ampio respiro, come quelle che hanno a che fare con strategie di cura, soppesando rischi e benefici.
Allo stesso tempo è possibile fare delle domande più mirate e settoriali, che entrano nel merito di una diagnosi o di un trattamento specifico: ad esempio descrivendo nella maniera più dettagliata possibile un singolo caso e chiedendo consiglio sul da farsi.
Cosa pensano i medici di OpenEvidence?

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In America, il successo di OpenEvidence è tale da far pensare che la comunità scientifica sia fortemente a favore della piattaforma. Basti pensare che, nel 2025, circa il 40% dei medici statunitensi è risultato registrato.
Detto questo, non mancano voci più critiche sullo strumento. Uno dei pareri più diffusi in tal senso è che, a fronte di un buon prompt engineering, OpenEvidence sia perfetto per accedere rapidamente a informazioni: richiamare studi, scoprire nuove pubblicazioni, mantenersi aggiornati su argomenti specifici.
Al tempo stesso, secondo molti i suoi suggerimenti diretti su decisioni da prendere e terapie da consigliare vanno presi con le molle. Il timore, infatti, è che l’AI non sia ancora in grado di capire in tutto e per tutto il senso delle ricerche che passa in rassegna e che le sue sintesi risultino fuorvianti.
Un altro tema caldo quando si parla di OpenEvidence è la presenza delle sponsorizzazioni: una componente probabilmente necessaria, soprattutto se l’intenzione di Nadler e soci è continuare a mantenere la piattaforma gratuita.
Su OpenEvidence però il concetto di sponsorizzazione non si limita a pubblicità, pop-up e simili. Esistono diversi contenuti brandizzati, spesso legati direttamente a stakeholder del settore sanitario. La preoccupazione in tal senso è che questi contenuti presentino posizioni figlie di interessi privati e che rischiano di offuscare le capacità di giudizio del medico.
Per saperne di più: Intelligenza Artificiale: cos'è e cosa può fare per noi
Domande frequenti (FAQ)
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Cosa fa OpenEvidence?OpenEvidence è una piattaforma che utilizza l'intelligenza artificiale generativa per supportare i medici nella presa di decisioni, analizzando pubblicazioni scientifiche e fornendo risposte attendibili.
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Come si utilizza OpenEvidence?Per interagire con OpenEvidence, basta scrivere domande o richieste nel chatbot utilizzando linguaggio naturale. Si possono fare domande generiche o specifiche sul trattamento di sintomi, interazioni tra farmaci, aggiornamenti scientifici, diagnosi e trattamenti.
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Quali sono le fonti di OpenEvidence?OpenEvidence attinge a un database di migliaia di pubblicazioni e documenti scientifici, collaborando con importanti entità come il Journal of the American Medical Association e il The New England Journal of Medicine.