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Fotoni e fononi insieme per velocizzare i microchip

Ricercatori australiani sono riusciti a trasformare onde di luce – i fotoni – in onde sonore – i fononi. Così facendo hanno migliorato le prestazioni dei computer fotonici

Chip alla velocità della luce

Troppo veloci per essere veri. O, per meglio dire, troppo veloci per essere utilizzabili. Anche se sono sempre di più gli istituti di ricerca che si dedicano all'informatica fotonica e alla progettazione di microchip che sfruttino i fotoni per trasportare informazioni e dati da una parte all'altra di un computer esattamente come accade con la fibra ottica nelle telecomunicazioni, gli scienziati stanno incontrando ostacoli non indifferenti. Primo tra tutti, come accennato, uno legato alla velocità eccessiva.

Dai primi esperimenti, infatti, è emerso che i fotoni viaggiano sin troppo velocemente all'interno dei circuiti del microchip, tanto che risulta impossibile salvarli e processarli. Insomma, i dati scorrono troppo velocemente per essere utilizzabili. Sono necessarie delle contromisure per riuscire a rallentare il flusso dei dati il tempo necessario ad analizzarli, senza che si vadano ad annullare gli effetti positivi che l'utilizzo dei fotoni garantisce in termini di prestazioni e generazione di calore.

 

Rendering di un chip fotonico sviluppato presso l'università di sidney

Pro e contro dell'informatica fotonica

I vantaggi che la fotonica garantirebbe al mondo dell'informatica sono molteplici. Primo tra tutti, la possibilità di poter elaborare e scambiare dati alla velocità della luce, potenziando così le capacità di calcolo di qualunque macchina ci si trovi a utilizzare. A questo si unisce la possibilità di lavorare a temperature di gran lunga più basse – i chip fotonici non sono soggetti all'effetto Joule come quelli elettronici – e con consumi energetici molto ridotti. Si tratta, però, di risultati che saranno ottenuti nei prossimi anni, se non decenni. Infatti, se si volessero applicare immediatamente i concetti della fotonica all'informatica, saremmo ancora "costretti" a utilizzare chip e processori elettronici almeno per la parte che riguarda l'elaborazione e la memorizzazione dei dati.

Questo porterebbe con sé tutti gli "effetti collaterali" già noti per i chip elettronici: surriscaldamento, alti consumi energetici e capacità di calcolo non sufficientemente elevata per applicazioni "pesanti" come l'analisi di big data, algoritmi di intelligenza artificiale o machine learning.

 

Funzionamento del chip fono-fotonico dellUniversità di Sidney

Utilizzare le onde sonore per velocizzare computer e reti

Gli scienziati della University of Sydney hanno però messo a punto un sistema che, almeno in fase sperimentale, ha permesso di raggiungere gli obiettivi sperati: rallentare i fotoni quel tanto che basta per farli processare da un normale microchip elettronico. Ovviamente, i fotoni non possono essere rallentati (la loro velocità, costante per definizione, è circa di 300 mila chilometri al secondo), ma possono essere trasformati in altre entità fisiche più lente, conservando, nel contempo, le informazioni da essi trasportate.

Creando una sorta di reticolo all'interno di un microchip elettronico, gli scienziati australiani sono riusciti a trasformare le onde luminose in onde sonore (quindi i fotoni in fononi), creando così una sorta di buffer audio che consente ai circuiti elettrici di processare i dati e analizzarli, come accadrebbe in un computer normale. In questo modo, sostengono i ricercatori dell'Università di Sydney, le informazioni viaggiano a una velocità cinque volte inferiore di quella della luce: un rallentamento sufficiente per dare il tempo ai processori elettronici di elaborare tutte le informazioni e che potrebbe portare miglioramenti sia a livello di singoli computer, sia a livello di reti di telecomunicazioni cablate.

Come funzionano i chip fotonici a onde sonore

 

 

Il concetto alla base della scoperta degli scienziati della University of Sydney lo vediamo in azione ogni qualvolta c'è un temporale. Lo scambio e l'interazione che c'è tra fotoni e fononi all'interno del microchip sviluppato in Australia sono gli stessi che si formano nell'atmosfera quando cade un fulmine: l'effetto luminoso precede quello sonoro, ma sono legati l'uno all'altro in maniera indissolubile. Nel microchip fotonico, le particelle di luce transiteranno in un lasso di tempo che va tipicamente dai 2 ai 3 nanosecondi (un nanosecondo equivale a un miliardesimo di secondo), mentre i fononi impiegheranno 5 volte tanto (dai 10 ai 15 nanosecondi), consentendo così ai circuiti di recepire le informazioni e processarle in accordo con le istruzioni comunicate dal software in esecuzione.

Il "trucco" sta quindi nell'utilizzare l'ottica fotonica in sostituzione dei percorsi in rame al cui interno scorrono gli impulsi elettrici che attualmente consentono lo scambio di informazioni tra i vari componenti di un singolo microchip. In questo modo si possono ottenere gli effetti positivi sul consumo energetico e sull'accumulo di calore dovuti all'ottica fotonica rispetto alla controparte puramente elettronica, avendo però l'esigenza di "rallentare" il flusso dei dati che, a questo punto, avverrebbe a velocità incompatibili con le effettive capacità di calcolo degli attuali processori. Per ottenere questo si è sviluppata una tecnica in grado di trasformare, all'occorrenza, le onde luminose (fotoni) in corrispettive onde sonore (fononi), superando così il problema.

Chip di questo genere, caratterizzati da bassa latenza, banda passante ultralarga e bassissima produzione di calore, potrebbero trovare larga applicazione all'interno dei data center e delle centrali di gestione dei nodi delle dorsali di fibra. Garantendo un notevole boost prestazionale, i microchip fotonici dell'Università di Sydney permetteranno di eliminare uno dei colli di bottiglia che intasano le nostre connessioni Internet e mi

A cura di Cultur-e
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