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Stati quantistici in soccorso della Legge di Moore: la scoperta

Un team dell'Università di Chicago ha scoperto che è possibile "creare" qubit partendo da normali chip elettronici. Ecco le novità

Chip quantistico

C'era una volta la legge di Moore, che ha funzionato benissimo per oltre cinquant'anni regalando al mondo dispositivi elettronici sempre più complessi e potenti, senza che la maggior parte delle persone al mondo neanche sapesse dell'esistenza della legge in questione. Poi sono arrivati i limiti fisici dell'elettronica convenzionale, che hanno reso la legge di Moore sempre più difficile da seguire per i costruttori di microchip.

Tanto che, per la prima volta dall'anno in cui Moore formulò la famosa legge (cioè dal 1965), la roadmap della Semiconductor industry association (SIA) ha ipotizzato che no, a differenza di quanto prevede la legge, non è più possibile raddoppiare la quantità di transistor presenti nei microprocessori ogni 18 mesi. E, adesso, arriva la nuova ipotesi: superare la legge di Moore creando gli stati quantici con l'elettronica convenzionale. Rendere quantistico, cioè, un computer che quantistico non è.

Agli scienziati sembrava una cosa impossibile, ma alcuni ricercatori dell'Università di Chicago hanno dimostrato che si può fare. Ma per capire tutto ciò dobbiamo fare un passo indietro.

Chip

La roadmap SIA del 2016

Per ben 51 anni l'industria dell'elettronica è riuscita a rispettare la cosiddetta legge di Moore, cofondatore di Fairchild Semiconductor nel 1957 e poi di Intel nel 1968. Moore, abbastanza empiricamente ma con un'intuizione che in seguito si dimostrò quasi da veggente, nel 1965 affermò che ogni 18 mesi la quantità dei transistor che compongono un processore sarebbe raddoppiata. E con essa, anche se non linearmente, sarebbe aumentata anche la potenza di calcolo delle CPU prodotte.

E così fu: per decenni la legge di Moore fu rispettata e persino superata dall'industria dei semiconduttori, grazie a nuovi processi produttivi che permettevano di costruire transistor sempre più piccoli (riuscendo quindi a metterne un numero sempre maggiore all'interno di un singolo processore). A partire dal nuovo millennio, però, rispettare la legge di Moore è diventato sempre più difficile a causa del raggiungimento dei limiti fisici che governano il funzionamento dei semiconduttori: quando i transistor sono troppo piccoli gli elettroni "sfuggono".

Chip quantistico

Si suppone che il limite tecnico insuperabile nelle dimensioni di un transistor sia di 1 o 2 nanometri, mentre ad oggi i migliori processi produttivi sono a 5-7 nanometri. Ma già nel 2016 la SIA ha lanciato l'allarme con la sua roadmap: bisogna puntare di più sul software, sull'ottimizzazione dei sistemi operativi e delle applicazioni, perché la validità della legge di Moore è agli sgoccioli.

Quantum computing economico

Tuttavia, gli scienziati della Pritzker School of Molecular Engineering dell'Università di Chicago hanno annunciato una scoperta importantissima: gli stati quantici possono essere usati e controllati in dispositivi elettronici ordinari, realizzati in carburo di silicio. "La capacità di creare e controllare bit quantici ad alte prestazioni nell'elettronica commerciale è stata una sorpresa - ha affermato il ricercatore dell'Università di Chicago David Awschalom - Questa scoperta ha cambiato il modo in cui pensiamo allo sviluppo di tecnologie quantistiche: forse possiamo trovare un modo per usare l'elettronica di oggi per costruire dispositivi quantistici". La prudenza, come si intuisce dalle parole di Awschalom, è d'obbligo.

Chip quanto elettronico

Gli Hot Qubit

Un'altra prospettiva molto interessante per rendere il quantum computing più economico è quella proposta dai ricercatori della University of New South Wales. Questi scienziati sono partiti dal problema, per poi ipotizzare la soluzione. E se il problema è innanzitutto il costo di questi supercomputer quantistici, come abbiamo già visto, il motivo è anche termico: queste macchine hanno bisogno di temperature bassissime per lavorare correttamente, pari a 0,1 gradi Kelvin (cioè -273,5 gradi Celsius). Queste temperature vengono ottenute e mantenute tramite grandi e costosi refrigeratori, che sono gestibili in caso di quantum computer con pochi qubit ("quantum binary unit"), ma non lo sono se pensiamo ad una espansione di queste tecnologie su scala commerciale. Un singolo supercomputer quantistico con milioni di qubit, ad esempio, avrebbe bisogno di un sistema di refrigerazione grande quanto un palazzo. E di una enorme quantità di energia per tenerlo in funzione.

I ricercatori della UNSW, allora, hanno studiato e trovato il modo di far funzionare una macchina quantistica alla temperatura di 1,5 Kelvin, cioè -271,65 Celsius. Sembra una differenza da poco, ma non lo è affatto: portare un oggetto alla temperatura di 1,5 Kelvin, infatti, è molto più facile che portarlo a 0,1 Kelvin (pur restando qualcosa di alquanto complesso e dispendioso). L'idea, quindi, è quella di non lavorare sui qubit ma sugli "hot qubit", cioè dei qubit in grado di reggere temperature superiori. Questa soluzione tecnica è stata realizzata integrando i qubit all'interno di punti quantici, cioè di nanostrutture contenenti un semiconduttore contenuto a sua volta in un altro semiconduttore. Il risultato finale è un processore quantico al silicio, una sorta di ibrido tra elettronica tradizionale ed elettronica quantistica.

Quando saremo pronti

Sia lo studio della Pritzker School of Molecular Engineering che quello della University of New South Wales sembrano essere molto promettenti, ma ciò non toglie che la prudenza in questi campi è sempre d'obbligo. Spesso, nella storia della scienza e della tecnologia, determinati filoni di studio si sono persi dopo che per anni erano sembrati interessanti. Altrettanto spesso, però, altri filoni abbandonati sono stati ripresi dopo decenni e sviluppati grazie a nuove idee e nuove possibilità tecnologiche subentrate successivamente. Ma è anche giusto precisare che dalla ricerca americana della Pritzker è emersa una seconda buona notizia: gli stati quantici caratteristici del carburo di silicio emettono fotoni con una lunghezza d'onda vicino alla banda delle telecomunicazioni. "Questo li rende adatti alla trasmissione a lunga distanza attraverso la stessa rete in fibra ottica che trasporta già il 90% di tutti i dati internazionali in tutto il mondo", ha spiegato Awschalom. Forse siamo vicini, quindi, ad una nuova rivoluzione nell'elettronica.

A cura di Cultur-e
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