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Che cos'è l'olofonia

Ideata a Milano a metà degli anni '80, questa tecnica di registrazione e riproduzione audio permette di ottenere effetti sonori particolarmente realistici

Un manichino per la registrazione in olofonia

L'olofonia è una particolare tecnica di registrazione audio che permette di ottenere effetti sonori apparentemente tridimensionali. Ideata in Italia a metà degli anni '80, l'olofonia permette di registrare e riprodurre un suono come viene percepito dall'orecchio umano. Nonostante i circa 30 anni di vita, questa tecnica non è ancora riuscita a trovare un'ampia utilizzazione nel mondo discografico o cinematografico: fatta eccezione per qualche album – anche dei Pink Floyd, però – non esiste ancora una colonna sonora registrata in olofonia.

Cosa è l'olofonia

Termine di derivazione greca formato dalle parole holos, tutto, e fonia, suono, voce, l'olofonia permette di registrare effetti sonori e di riprodurli in maniera simile a come viene percepito dall'apparato uditivo umano. Il suono non viene percepito sui padiglioni stereo delle cuffie o degli auricolari utilizzati per l'ascolto, ma sembra provenire addirittura fuori dalla testa, quasi nelle esatte coordinate spaziali di registrazione

 

 

Il punto di forza dell'olofonia è la capacità di creare l'illusione della terza dimensione audiofonica. Grazie alla particolare tecnica di registrazione utilizzata (spiegata nel paragrafo successivo), gli effetti sonori riprodotti simulano il funzionamento dell'orecchio umano: ne risulterà meno piatto e più simile a quello che ascoltato ogni giorno nella vita reale.

L'unica pecca, almeno per il momento, è la modalità di riproduzione: per poter apprezzare a pieno la profondità e la corposità dei suoni olofonici è necessario indossare delle cuffie o degli auricolari: le normali casse audio stereo, infatti, non sono in grado di riprodurre gli effetti sonori dell'olofonia.

Come si registra in olofonia

Il segreto dell'olofonia è rappresentato dal particolare microfono utilizzato nel corso delle registrazioni. Inventato dagli stessi Zuccarelli e Maggio, l'olofono – questo il nome del microfono – è realizzato con la testa di un manichino e due sensori di registrazione all'interno dei padiglioni auricolari. Questi due sensori – due microfoni particolarmente sensibili – registrano l'audio in maniera sferica, riuscendo a captare e catturare ogni minima sfumatura sonora.

 

Un olofono su un campo da basket

 

La “colonna sonora” che ne risulta offre un'esperienza audio mai provata prima: i suoni registrati sembrano provenire da tutto lo spazio circostante (da sinistra, da davanti e da dietro, dall’alto e dal basso). L'effetto che si ottiene è molto realistico e consente di percepire la posizione delle sorgenti sonore, la loro distanza e intensità.

La storia dell'olofonia

Gli inventori di questa tecnica di registrazione di effetti sonori sono l'ingegnere elettronico argentino Hugo Zuccarelli e il musicista italiano (ex bassista dei Nomadi) Umberto Maggi. Le strade dei due si incrociarono nella prima metà deli anni '80, quando Zuccarelli era un promettente studente del Politecnico di Milano alle prese con le ricerche per la registrazione audio “perfetta”.

 

 

Zuccarelli e Maggi ideano, nel giro di qualche mese, l'olofono. Nel 1983 Zuccarelli pubblica, nel Regno Unito, un disco prodotto dalla CBS con incisi effetti sonori olofonici di scatole di fiammiferi che si chiudono, tagli di capelli e soffi, aerei in volo, sacchetti di plastica, fuochi d'artificio, tuoni e veicoli di varia natura.

Da allora, come detto, la tecnica non è stata utilizzata a causa delle problematiche tecniche legate alla realizzazione delle registrazioni e, soprattutto, alla riproduzione delle tracce olofoniche. I primi ad aver utilizzato l'olofonia nella registrazione di un disco furono i Pink Floyd e Roger Waters; negli ultimi anni Lady Gaga e i Tokio Hotel hanno tentato esperimenti analoghi con gli album ARTPOP e Humanoid.

 

19 marzo 2014

A cura di Cultur-e
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