In fatto di veicoli elettrici si sono compiuti passi da gigante. Rispetto a pochi anni fa, le tecnologie integrate nelle automobili che hanno detto addio al combustibile fossile sono cambiate radicalmente, alimentate da batterie rinnovate, capaci di completare cicli di carica completa in lassi di tempo più brevi.
La nuova frontiera è rappresentata da una variabile che finora poteva solo essere immaginata. Stiamo parlando della ricarica wireless effettuata durante il viaggio.
Non è fantascienza, ma una soluzione dei ricercatori dell’Università Cornell, nello stato di New York. Nonostante siano sempre più presenti le colonnine di alimentazione, quanti automobilisti hanno rinunciato al passaggio all’elettrico per paura di rimanere con la batteria a terra? Con l'idea elaborata dagli scienziati ciò potrebbe non risultare più un problema.
Anche l'aspetto economico sarebbe facilmente gestibile, secondo il professore. Infatti, effettuato l’accesso alla corsia, un sistema integrato individuerebbe il veicolo e, accedendo a un database, invierebbe al proprietario dell’automobile il conto da saldare per l’intera operazione. Ci vogliono dai cinque ai dieci anni prima che un disegno simile possa trasformarsi in realtà e poi bisogna puntare l’attenzione sulle metodologie prive di cavi. È il timore di non trovare stazioni e restare a corto di energia l'angoscia di molti davanti a queste automobili.
E in Italia? A fine 2020 se ne contavano 9.700, con poco più di 19mila punti singoli a cui connettere gli oltre 100mila veicoli circolanti.
Ben lontani dal Nord Europa, ma comunque in crescita. Difficoltà e ansia sono dunque fattori cruciali. Per l’Università della California, a Davis, ha evidenziato questi aspetti come deterrenti primari. Addirittura, le complicazioni nell’individuare le location hanno fatto sì che 1 possessore di auto elettrica su 5 tornasse a quelli a benzina per arginare l'incognita e ridurre lo stress.
Già nel 1986 era stata testata un’opzione analoga in California, all’interno del programma Partners for Advanced Transit and Highways.
Attualmente, tecnologie simili - ma in piccolo - sono state applicate al caricamento degli smartphone, grazie alla spinta di colossi tra cui Apple e Samsung. Ma su larga scala il progresso sembra essersi arenato, anche a causa di impianti troppo costosi e ingombranti. In un’intervista rilasciata ad Insider, l'ingegnere avrebbe individuato la motivazione: l’interesse si è focalizzato esclusivamente su metodi basati sull'elettromagnetismo, i quali richiedono strutture costose, massicce e con un dispendio energetico maggiore di quanto prodotto.
Niente a che vedere con i campi elettrici e le potenziali alte e altissime frequenze generate, campo di studio del professore. Sfruttando tali principi, il sistema sviluppato dal team di ricercatori è sinora capace di ricaricare mezzi a distanza di 18 centimetri dal suolo, misura che accomuna la maggior parte delle automobili di questa tipologia. La tecnologia funzionerebbe passando sopra le piastre di ricarica, incastonate nel terreno a diversi metri, pure in assenza di un allineamento preciso.
Ora, però, la complessità più grande resta il reperimento e la realizzazione ex novo della componentistica da utilizzare per lo scopo.
Inoltre, al momento il processo di ricarica di auto di piccola grandezza impiegano all'incirca 4-5 ore per raggiungere il 100%; i tempi, invece, si allungano di molto per i più potenti. A ciò si deve poi aggiungere la revisione della rete viaria statunitense, sebbene per Afridi il punto di partenza potrebbero rappresentarlo le maggiori arterie cittadine delle città principali, le zone con segnali di stop e quelle adiacenti ai semafori. Si tratta in ogni caso di uno step successivo in confronto a quello previsto dal gruppo e da Toyota, che vede robot impiegati nelle aziende produttrici e carrelli elevatori tra i primi destinatari. E poi, se la sperimentazione dovesse dimostrarsi efficace, si potrà passare alle macchine. Non un percorso semplice, sicuramente, ma che fa ben sperare per il futuro.