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Cos'è e come funziona il sintetizzatore musicale

Nato in contemporanea (o quasi) con la musica elettronica, permette di alterare il segnale musicale per riprodurre suoni di altri strumenti o creare nuovi timbri

Sintetizzatore e tastiera

Nome omen, affermavano gli antichi romani. E anche in questo caso non avrebbero potuto avere più ragione. Quando si parla di un sintetizzatore (synthesizer in inglese, dal quale deriva la forma abbreviata synt) ci si riferisce a uno strumento musicale elettronico che sintetizza suoni complessi partendo da opportuni elementi armonici. In particolare, con questo termine ci si riferisce a quella gamma di strumenti capaci di produrre musica partendo dalla generazione di segnali elettrici (per questo si parla anche di musica elettronica) che possono essere convertiti in musica tramite degli altoparlanti, casse o cuffie musicali. Un sintetizzatore può imitare i suoni di altri strumenti o, in alternativa, generare nuovi timbri ed essere controllato (suonato) attraverso differenti dispositivi di input: tastiera, sequenziatori musicali e controller MIDI.

 

 

Allo stesso modo, i synt sfruttano diverse tecniche per generare il segnale elettrico e, di conseguenza, il suono: sintesi sottrattiva, sintesi additiva, modulazione di frequenza, distorsione di fase, campionamento e molte altre ancora.

La storia dei sintetizzatori

Riuscire a datare con precisione le origini del sintetizzatore è compito tutt'altro che semplice dal momento che non sempre è chiara la differenza tra sintetizzatore vero e proprio e un “normale” strumento elettrico/elettronico. Risalendo alle origini della musica elettronica, però, è possibile riuscire quanto meno a individuare il periodo nel quale i sintetizzatori hanno fatto la loro comparsa sulla scena musicale mondiale.

Il telegrafo musicale, inventato dallo statunitense Elisha Gray nel 1876, è uno dei primi strumenti musicali elettronici della storia: scoperto per caso, ha contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo della ricerca sull'elettronica applicata alla musica. Un ventennio dopo Thaddeus Cahill inventa il Teleharmonium, strumento elettronico capace di sintesi additiva e considerato antenato degli organi Hammond.

 

Teleharmonium

 

Con l'inizio del XX secolo si assiste allo sviluppo scientifico dell'elettronica e, di conseguenza, alla completa “fioritura” della musica elettronica. Nel 1906 Lee De Forest inventa la valvola termoionica (o tubo a vuoto) amplificatrice che permette lo sviluppo di nuove tecnologie audio come la radio e i film sonori. In parallelo, la valvola termoionica amplificatrice favorisce lo sviluppo di nuovi strumenti musicali elettronici come l'audion piano, l'onde Martenot, il trautonium e il theremin.

Tra gli anni '30 e 40' dello scorso secolo fanno la loro comparsa la sintesi sottrattiva e il sintetizzatore polifonico, che faranno da apristrada alla rivoluzione della musica elettronica del secondo dopoguerra. Nei primissimi anni del 1950 viene prodotto il primo strumento musicale elettronico chiamato sintetizzatore: si tratta dell'Electronic music synthesizer, prodotto tra il 1951 e il 9152 dalla statunitense RCA (successivamente confluita nella General Electric). Nei dieci anni successivi si assiste allo sviluppo e al perfezionamento dei primi sintetizzatori: nasce così il sintetizzatore modulare, commercializzato a metà degli anni '60 e divenuto immediatamente oggetto di culto tra tutti gli appassionati di musica elettronica.

 

Sintetizzatore utilizzato dalla RAI a inizio anni '50

 

I sintetizzatori hanno un grande effetto sulla pop music, sia nel mondo anglosassone, quanto alle nostre latitudini. Il suono del sintetizzatore modulare è reso famoso nel 1968 da Simon e Garfunkel con il loro album Bookends, mentre l'anno successivo fa la sua comparsa Abbey Road dei Beatles: il sintetizzatore è ormai considerato uno strumento musicale al pari di chitarra, batteria e basso.

 

Sintetizzatore modulare degli anni '70

 

Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, però, si assiste all'ennesima rivoluzione nel mondo della musica elettronica. Lo sviluppo dei primi sintetizzatori digitali porta alla nascita di nuove forme di alterazione musicale: lo Yamaha DX7 diventa ben presto l'ogggetto di ogni musicista elettronico che si rispetti e finisce con il rendere obsoleta la tecnologia dei sintetizzatori analogici che avevano dettato legge per circa tre decenni. La diffusione dell'informatica rende obsoleti anche i sintetizzatori digitali, rimpiazzati da software e programmi sviluppati ad hoc per la produzione di musica elettronica a computer.

Tipi di sintetizzatore

Come detto, con il passare degli anni sono stati sviluppate diverse tipologie di sintetizzatore basate su differenti tecniche di manipolazione elettrica. Ecco le più comuni.

  • Sintesi additiva. Il suono naturale di un qualunque strumento può essere riprodotto partendo da un certo numero di frequenze fondamentali (segnali d'onda sinusoidali), sommandole insieme e distribuendole nello spettro sonoro. Il suono sintetizzato, quindi, sarà formato dalle varie frequenze fondamentali create grazie all'alterazione elettronica

 

Sintesi addittiva

 

  • Sintesi sottrattiva. La sintesi sottrattiva è una speciale tecnica musicale che scompone e “semplifica” una sorgente sonora complessa e ricca di armoniche (solitamente parziali) sottraendo arbitrariamente bande di frequenza. Ne risulta un suono per il quale l'ampiezza del segnale (il volume) è controllato nel tempo

  • Modulazione di frequenza. Un sintetizzatore a modulazione di frequenza è capace di generare un suono alterato partendo da una frequenza fondamentale e modulandola mediante un altro segnale. In questo modo la “fondamentale” di partenza modifica la propria fase in funzione del segnale modulante

  • Campionamento. La registrazione digitale di strumenti analogici permette di alterare l'ampiezza e la distribuzione delle armoniche nel tempo, ottenendo come risultato sonorità similari ma alterate. In casi come questi le registrazioni sono chiamate campioni, gli strumenti grazie ai quali i segnali sono alterati sono detti campionatori, mentre il procedimento utilizzato è quello del campionamento

A cura di Cultur-e
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