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Biografia di Palmer Luckey

Dalla nautica alla realtà virtuale il passo sembra essere molto lungo. Non è stato così per Palmer Luckey, papà di Oculus Rift

Palmer Luckey

Un regular Joe. Una persona qualsiasi. Un tipo sui generis per molti aspetti, Palmer Luckey. Appena ventenne è stato già inserito da Fortune nella sua 30 under 30 games & apps, la lista dei 30 personaggi sotto i 30 anni di età che avranno maggiore influenza nel settore dei videogame e delle applicazioni. Nel suo campo – quello degli head-mounted display, letteralmente schermi montati sulla testa – è considerato un visionario e una delle menti più promettenti per i prossimi decenni. Nella sua azienda lavorano alcuni degli sviluppatori e degli ingegneri più famosi e celebri del settore, onorati di poter lavorare al suo fianco.

 

 

La sua creatura, l'Oculus Rift, viene considerato tra i gadget hi-tech più attesi dell'anno. Nonostante ciò, nonostante una biografia da sceneggiatura cinematografica, lui continua a considerarsi un regular Joe. Un ragazzo come tanti altri. Ed è forse questo il suo più grande segreto.

Dalla realtà alla realtà virtuale

Palmer nasce nel 1993 a Long Beach, in California, da una famiglia della piccola borghesia statunitense. Il padre era un venditore di automobili, la mamma una casalinga a tempo pieno. Il piccolo passa gran parte del suo tempo in casa, tanto che è la mamma a pensare alla sua educazione primaria: Palmer Luckey inizierà a frequentare gli istituti scolastici all'età di 14 anni, quando seguirà le prime lezioni presso un liceo pubblico. Nel 2010 si iscrive alla California State University per intraprendere la carriera di giornalista. Ben presto, però, capirà che quella non è la sua strada.

 

Palmer Luckey

 

Palmer, infatti, aveva iniziato a lavorare sin da giovanissimo, prima riparando cellulari, console e altri gadget elettronici, poi insegnando le basi della nautica presso uno yacht club locale. Nel corso degli anni, complice il suo impegno in campo tecnologico, sviluppa una passione smodata – ai limiti dell'insano – per gli head-mounted display (spesso abbreviato in HMD), dei grossi occhialoni per la realtà virtuale. I soldi guadagnati con i lavoretti saltuari erano tutti reinvestiti nell'acquisto di HMD di varia fattura e provenienza. Palmer Luckey era così abituato a passare i suoi week end tra fiere campagnole e aste fallimentari di grossi fornitori dell'esercito: solo in questo modo poteva reperire nuovi modelli per la sua collezione.

Modder

Palmer, naturalmente, non si limitava a collezionare gli head-mounted display: una volta acquistati li smontava e li rimontava, li dissezionava e tentava di capirne il funzionamento. In questo modo Palmer sviluppa una sorta di sesto senso per gli HMD: era in grado di predirne pregi e difetti ad una prima occhiata, provando anche a migliorarli impiantando pezzi “prelevati” da altri head-mounted display.

 

Palmer alle prese con uno dei suoi HMD

 

Chiuso nel garage di casa, il giovane Palmer trascorreva ore ed ore attorniato dai suoi caschetti per la realtà virtuale, ma nessuno riusciva a soddisfarlo a pieno. Tutti, ma proprio tutti, mancavano di qualcosa che gli permettesse di videogiocare in tutta tranquillità. Aveva iniziato a collezionare HMD dal 2009 e, nel giro di due anni, era riuscito a metterne assieme ben 56 – la più grande collezione privata del genere, probabilmente – ma tra questi nessuno era in grado di rispondere alle sue esigenze.

Prese quindi la decisione che stravolgerà la sua vita: costruire da sé un head-mounted display pensato appositamente per i videogame.

L'epopea Oculus

Palmer decide quindi di realizzare qualche bozzetto e un prototipo e di avviare una campagna su KickStarter per racimolare i fondi necessari allo sviluppo del suo progetto. È in questa fase che conosce John Carmack, stella assoluta del firmamento dei videogame – sviluppatore capo di giochi come Quake, Wolfstein 3D e Doom – e interessato anche lui allo sviluppo di un HMD. I due diventano amici e Palmer ne approfitta per mostrare a Carmack la sua collezione e il prototipo in fase di completamento. Carmack iniziò a promuovere il dispositivo realizzato da Palmer – il primo prototipo di Oculus Rift – in ogni occasione. Ma fu nel corso del E3 del 2012 che l'Oculus visse i suoi – primi – 15 minuti di celebrità. John Carmack mostrò al mondo videoludico le incredibili potenzialità di questo caschetto per realtà aumentata giocando con una versione riadattata di Doom 3.

 

John Carmack con l'Oculus Rift

 

Palmer Luckey e il suo Oculus Rift vennero travolti da un'improvvisa, quanto inattesa, ondata di popolarità. Palmer decise di fondare una società – Oculus VR – e di lanciare in breve tempo la campagna su KickStarter. Nel frattempo entrarono a far parte del team di sviluppo nomi del calibro di Brendan Iribe e Mike Antonov, guru dell'universo videoludico mondiale.

Da un progetto marginale riservato ad una piccolissima nicchia di videogiocatori, Oculus Rift divenne un progetto di portata mondiale sul quale erano accesi i riflettori di centinaia di migliaia di curiosi. La campagna su KickStarter prese il via il 1 agosto del 2012 e l'obiettivo era fissato a 250.000 dollari. Nel giro di appena 24 ore questa soglia era stata già passata e nei 30 giorni previsti dalla campagna vennero raccolti ben 2,5 milioni di dollari.

L'avventura dell'Oculus iniziava nel migliore dei modi possibili. Ma non era finita qui: nel giro di pochi mesi Palmer fu in grado di raccogliere finanziamenti privati per 16 milioni di dollari. Un capitale sufficiente per sviluppare in serie il dispositivo: dopo un anno di lavoro, in magazzino erano presenti ben 17.000 esemplari di Oculus Rift pronti per essere spediti.

 

27 gennaio 2014

A cura di Cultur-e
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