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Bioplastiche, scenari futuri

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Da alcuni anni la plastica è diventata un enorme problema per l'ambiente: microframmenti di materiali plastici si disperdono nell'ecosistema inquinando le catene alimentari. Ecco come la scienza sta provando a risolvere il problema con le bioplastiche

bioplastica | Fastweb Plus

A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo l'economia globale ha iniziato a ruotare intorno alla plastica: moltissimi materiali sono stati abbandonati, in favore di una o più materie plastiche, quasi tutti gli imballaggi sono diventati di plastica, gli oggetti di plastica sono diventati la nostra quotidianità mentre la ricerca ha portato alla creazione di materiali plastici sempre più economici e performanti.

A partire dalla prima metà del ventunesimo secolo l'ecologia globale ha iniziato ad avere un grosso problema con la plastica: piccolissimi frammenti di questo materiale (le cosiddette "microplastiche") hanno iniziato a comparire sempre più spesso nei terreni, nelle acque dei mari e all'interno dello stomaco di moltissimi animali terrestri e marini. La plastica è entrata nella catena alimentare, mentre negli oceani le correnti hanno iniziato a creare delle vere e proprie isole di plastica galleggianti.

Da alcuni anni si sta cercando di risolvere questo problema, agendo su due fronti: la riduzione della plastica, ove possibile (ad esempio dagli imballaggi) e la sua sostituzione con materiali alternativi e facilmente biodegradabili, ma dalle proprietà simili, le cosiddette bioplastiche.

Il problema dentro al problema, però, è che il termine "plastica", al singolare, non ha molta ragione di esistere

Si fa presto a dire plastica

tipi di plastica

Un chimico non direbbe mai plastica: per chi conosce i materiali è logico dire plastiche. Già, perché di materiali che genericamente chiamiamo plastica ce ne sono veramente molti e, quasi sempre, si tratta di polimeri derivati dalla lavorazione del petrolio o di altri idrocarburi.

Ognuno di essi è identificato con una sigla di due, tre o quattro lettere e ha caratteristiche fisiche e chimiche (e quindi scopi industriali) completamente diversi.

Ecco una lista delle principali materie plastiche e delle rispettive sigle, stilata dal COREPLA, il Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli iballaggi di Plastica:

  • CA - Acetato di cellulosa
  • PMI - Polimetacrilimmide
  • CAB - Acetobutirrato di cellulosa
  • PMMA - Polimetilmetacrilato
  • CN - Nitrato di cellulosa
  • PMP - Poli-4-metilpentene-1
  • CP - Propionato di cellulosa
  • POM - Poliossimetilene, Poliformaldeide, Poliacetale
  • EP - Epossidi
  • PP - Polipropilene
  • MF - Melammina-formaldeide
  • PPE - Polifeniletere
  • PA - Poliammidi
  • PPO - Polifenilenossido
  • PAI - Poliammidiimmide
  • PPS - Polifenilensolfuro
  • PAN - Poliacrilonitrile
  • PS - Polistirene
  • PB - Polibutene-1
  • PSU - Polisolfone
  • PBT - Polibutilentereftalato
  • PT - Politiofene
  • PC - Policarbonato
  • PTFE - Politetrafluoroetilene (Teflon)
  • PCTFE - Policlorotrifluoroetilene
  • PUR - Poliuretano
  • PDAP - Polidialliftalato
  • PVB - Polivinilbutirrale
  • PE - Polietilene
  • PVC - Polivinilcloruro
  • PE-C - Polietilene clorurato
  • PVC-C - Polivinilcloruro clorurato
  • PEI - Polieterimmide
  • PVDC - Polivinildencloruro
  • PEK - Polieterochetone
  • PVDF - Polivinildenfluoruro
  • PEEK - Polieteroterchetone
  • PVF - Polivinilfluoruro
  • PES - Polietersolfoni
  • RC - Cellulosa rigenerata
  • PET - Polietilentereftalato
  • SI - Siliconi
  • PF - Fenolformaldeide
  • UF - Urea-formaldeide
  • PI - Poliimmide
  • UP - Poliestere insaturo
  • PIB - Poliisobutilene
  • PDMS - Polidimetilsilossano

 

Con una quantità così grande di materie plastiche usate dall'economia, è chiaramente impossibile trovare una sola alternativa alla plastica: servono più alternative alle diverse materie plastiche. Ecco quelle che, al momento, sembrano più promettenti.

Bioplastiche, le ultime ricerche

bioplastica

Uno degli studi più recenti sulle bioplastiche è quello dell'Università di Yale sulla bioplastica derivata dalla polvere di legno. Questo materiale ha mostrato una buona resistenza e una lunga durata, ma anche la capacità di degradarsi completamente in soli tre mesi nel suolo, senza passare da un impianto di compostaggio.

Secondo il team di ricerca di Yale questa bioplastica potrà essere usata per creare film da imballaggio, borse, materiali per l'edilizia e persino parti di automobili.

Gli scienziati tedeschi del Fraunhofer Institute, invece, lavorano ad una plastica prodotta dai rifiuti industriali, in particolare dai grassi dell'industria alimentare che vengono trasformati in bioplastica grazie ad una fermentazione indotta da batteri geneticamente modificati.

Ne deriva un impasto al quale vengono poi aggiunti degli additivi chimici, che rendono questo biopolimero più duro e lavorabile. Il risultato ha caratteristiche simili a quelle del polipropilene, ma che si decompone in 6-12 mesi in campo aperto.

Una terza opzione è quella che stanno mettendo a punto i chimici dell'Università della California: aggiungere enzimi alla plastica normale per favorirne la biodegradabilità. Il risultato è una plastica che rimarrà stabile durante l'uso quotidiano, ma inizierà a decomporsi molto velocemente se esposta al compost o all'acqua calda.

Nei test il team ha scoperto che immergere la plastica in acqua a temperatura ambiente per tre mesi non la fa degradare: questo processo viene attivato solo quando il calore aumenta leggermente.

Ci mette invece quattro anni la bioplastica di origine vegetale sviluppata da NEC. Chiamato NeCycle, questo biopolimero è composto per circa il 50% da cellulosa proveniente da piante non commestibili (come legno e paglia) e può essere utilizzato con i tradizionali metodi di lo stampaggio a iniezione, proprio come la plastica normale.

Infine, i ricercatori dell'Università di Huazhong in Cina stanno lavorando ad un particolare polimero che si degrada molto velocemente solo quando è esposto ad un fascio di luce di colore rosso intenso e solo in un ambiente in cui è presente ossigeno.

Chiaramente questo tipo di plastica non potrà essere usato negli oggetti di uso comune, che sono costantemente esposti alla luce del sole (che contiene molta radiazione di colore rosso) e all'aria (che contiene ossigeno). Gli scienziati ipotizzano un suo uso all'interno dei componenti elettronici con cui si costruiscono gli smartphone e altri device moderni.

A cura di Cultur-e
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