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Test DNA, cosa fare per difendere la propria privacy

Con il sequenziamento del genoma umano è diventato molto più semplice fare il test del DNA. Ecco tutti i pericoli per la propria privacy

test dna

Il sequenziamento del genoma umano, cioè la mappatura completa del nostro DNA, è una conquista scientifica molto recente: è il risultato del progetto di ricerca HGP, Human Genome Project, iniziato nel 1990 e terminato nel 2003. Da allora la mappa del nostro DNA è stata usata per potenziare la ricerca scientifica e trovare delle cure adatte a combattere le malattie più aggressive, come le mutazioni genetiche e i tumori. Le ricadute positive del sequenziamento del genoma umano, in futuro, saranno enormi ma, già oggi, c'è qualcuno che sta guadagnando con il nostro DNA.

Da qualche anno, infatti, sono nate molte società che promettono di svelare chi sono i nostri antenati e di trovare nuovi parenti in giro per il mondo. Altri servizi promettono, invece, di svelare la nostra "compatibilità" con eventuali partner, compagni di viaggio e persino di stanza. Il mercato dei test del DNA offre ormai kit a poche decine di euro (meno di cento): di solito si tratta di tamponcini applicati ad uno stick, che vanno strofinati sul palato e sulla lingua, chiusi in un contenitore e poi spediti per posta all'azienda. A parte i dubbi sull'attendibilità scientifica di questi test, ce ne sono altri relativi alla privacy: come vengono gestite le nostre informazioni genetiche, una volta eseguito il test?

Paghiamo per regalare i nostri dati

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Con 50-100 euro possiamo sapere se abbiamo un antenato asiatico, africano o nordamericano. Stiamo pagando per avere questa informazione, regalando al contempo le nostre informazioni a qualcun altro. In un mondo in cui ci sono società disposte a pagare per sapere cosa condividiamo su Facebook, noi paghiamo affinché qualcuno sappia tutto su di noi. La società americana 23andMe, che insieme ad Ancestry ha il più grande database genetico privato al mondo, ha anche l'approvazione della FDA americana per testare la predisposizione genetica a malattie come l'Alzheimer e il diabete di tipo 2.

Circa il 40% dei pazienti con questa forma di diabete ha parenti di primo grado colpiti dalla stessa malattia, quindi la scienza è concorde nel ritenere che ci sia una forte familiarità nel diabete di tipo 2. Ciò vuol dire che un americano che ha inviato a 23andMe il suo DNA per sapere di più sulle sue origini, potrebbe un giorno ricevere suggerimenti su come prevenire l'insorgenza di una malattia per la quale è predisposto (e magari neanche lo sa). E, poiché tra i suggerimenti dei medici c'è anche una dieta povera di grassi saturi e ricca di grassi Omega 3, un giorno potrebbe anche ricevere la pubblicità di un integratore alimentare basato proprio sui "grassi buoni".

La normativa USA sui test del DNA

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Negli Stati Uniti la normativa che regola questi test è molto carente nella sezione che riguarda la privacy. Un test genetico eseguito in un ambulatorio medico è regolamentato dalle leggi HIPAA (Health Insurance Portability and Accountability Act, che regolano anche le assicurazioni sulla salute), che ne limitano la condivisione. Un test comprato online, però, non deve rispettare queste leggi e a proteggere la privacy degli americani che si rivolgono a queste aziende ci sono solo le privacy policy delle singole aziende.

La normativa UE e itaiana sui test del DNA

In Europa la normativa è più stringente, ma non è detto che sia sufficiente a tutelare al 100% la privacy di chi fa un test genetico online. A maggio 2018 il Garante italiano per la Privacy, Antonello Soro, ha infatti affermato che "Le indagini genetiche fai da te, offerte online da società commerciali anche nell'ambito di servizi di social networking, suscitano legittimi interrogativi sulla loro reale affidabilità, non solo dal punto di vista delle garanzie in termini di protezione dei dati personali e di corretto utilizzo dei campioni raccolti per eseguire il test, ma anche in termini di validità medico-scientifica dei risultati".

test dna privacy

Queste parole sono state pronunciate quasi in corrispondenza dell'entrata in vigore della nuova Direttiva europea sulla Privacy (GDPR). Con il Decreto legislativo 101 del 2018, l'Italia ha integrato nel suo ordinamento giuridico il GDPR e, all'articolo 2, ha previsto dei paletti al trattamento dei dati genetici, biometrici e relativi alla salute, chiedendo al Garante della Privacy di stabilire il perimetro al di fuori del quale non si può uscire. Il Garante, a sua volta, con un provvedimento del 5 giugno 2019 ha imposto una serie di vincoli per la gestione dei campioni di DNA e delle informazioni in essi contenuti. In questo provvedimento, però, si parla di strutture sanitarie pubbliche e private, ovviamente italiane. Ma la maggior parte delle società private che effettuano questi test sono americane e il campione viene analizzato in un laboratorio negli Stati Uniti.

Google vuole in nostro DNA?

Infine, va citata anche un'informazione che non è affatto secondaria, se parliamo di privacy: la già citata 23andMe è una (ex) startup nata nel 2006, che ad oggi ha già analizzato il DNA di 9 milioni di americani. Appena un anno dopo la sua nascita, nel 2007, ha ricevuto un corposo investimento da parte di Google, che ha iniettato 3,9 milioni di dollari nelle casse dell'azienda guidata da Anne Wojcicki. La signora Wojcicki, a sua volta, pochi giorni prima si era sposata con Sergey Brin, cofondatore di Google. Il matrimonio tra il cofondatore di Google e la CEO di 23andMe è finito nel 2015, ma non risulta che la società di Mountain View abbia nel frattempo rivenduto la sua quota di 23andMe.

 

17 settembre 2019

A cura di Cultur-e
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