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Harlem Shake, il nuovo tormentone del web

Arriva dagli Stati Uniti il nuovo tormentone del Web: si chiama Harlem Shake ed esattamente come Gangnam Style sta impazzando su YouTube

Un Harlem Shake per le strade di Dublino

Mentre Gangnam Style si avvia stancamente verso la soglia del miliardo e mezzo di visualizzazioni, un nuovo Internet meme (ovvero un contenuto digitale che si diffonde in maniera virale viaggiando sulla Rete) è già pronto a prenderne il posto. La canzone del rapper coreano PSY è stata, senza dubbio, la colonna sonora dell’estate 2012, ma ora le cose sono cambiate ed il mondo è pronto per una bella shakerata. Il nuovo tormentone di YouTube è l’Harlem Shake, uno spezzone musicale estratto dall’omonima canzone dello scorso anno di Bauuer, autore di musica elettronica di origine statunitense.

 

 

 

Un Harlem Shake fatto a regola d’arte dura non più di 35-40 secondi ed è composto da due parti, una il contrario dell’altra. Nella prima parte, un ballerino si muove sullo stage e accenna a qualche mossa, mentre tutti gli altri stanno immobili al loro posto; nella seconda parte, quando nella canzone parte il basso, tutti ballano e si dimenano, meglio se indossando un costume buffo. Quindi, se Gangnam Style era una tendenza per lo più musicale, il suo successore è un fenomeno prettamente legato alla danza.

Il fenomeno è iniziato nei primi giorni del 2013, ma è esploso con tutta la sua dirompenza solamente nel mese di febbraio. Ogni giorno vengono caricati decine e decine di video, al grido di “Famolo strano”. Non importa quale sia la location scelta (in acqua, in treno, in metro, in classe, in un’aula universitaria, in un parco, in mezzo alla neve, nel ghiaccio, o in un campetto di periferia), ciò che conta è scatenarsi e lasciarsi trascinare dal ritmo al momento giusto. Una mania irrefrenabile che ha catturato anche Homer Simpson e la sua strampalata famiglia.

 

 

L’habitat naturale di questo nuovo meme sembrano essere i corridoi delle scuole e le aule universitarie. Ogni giorno su YouTube vengono caricati decine e decine di video provenienti da tutto il mondo. Italia compresa. Gli studenti del Politecnico di Milano si sono esibiti all’interno di una delle aule, mentre i loro coetanei canadesi dell’Università di Guelph hanno dato vita a una esibizione outdoor. Il sito Scuola Zoo ha anche lanciato un concorso riservato agli studenti delle superiori: per partecipare basta inviare un video della durata di circa 30 secondi con il logo del sito. Il vincitore porterà a casa un viaggio gratis, mentre i ballerini riceveranno un buono sconto per lo stesso viaggio.

 

 

 

 

Anche in ambito sportivo questo ballo ha fatto breccia, tanto negli Stati Uniti quanto nel nostro Paese. Al di là dell’Oceano, ad esempio, i giocatori di Miami Heat e Denver Nuggets, due franchigie dell’NBA (National Basketball Association), hanno messo in scena l’Harlem Shake all’interno dei loro spogliatoi. Mentre il video delle pepite di Denver è piuttosto artigianale, il balletto messo su dai campioni in carica dell’NBA è molto ben curato, con tanto di LeBron King James vestito… da Re. In Italia, invece, sono stati i giocatori della Juventus a portare alla ribalta l’Harlem Shake. Matri, Bonucci, Quagliarella, Pogba e Vidal sono i cinque protagonisti del video che lo staff comunicazione del club torinese ha anche caricato sul profilo ufficiale di YouTube.

 

 

 

 

Ora la moda dell’Harlem Shake inizia a diffondersi anche negli ambienti lavorativi. Gli uffici, naturalmente, sono i luoghi preferiti per mettere sù la coreografia (che poi tanto coreografia non è, dato che ognuno si muove come vuole), ma in molti hanno dato sfogo alla fantasia e si sono adattati a esibirsi un po’ ovunque.

 

 

Alcuni soldati dell’esercito norvegese, ad esempio, hanno ballato nel cortile della caserma. In mezzo alla neve.

 

 

Mentre alcuni minatori australiani hanno improvvisato direttamente all’interno della miniera. Peccato per loro che la dirigenza non l’abbia presa tanto bene e ha licenziato i 15 minatori coinvolti nel balletto.

 

 

 

12 marzo 2013

 

A cura di Cultur-e
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