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Hard disk microscopici, lo storage si fa atomico

Realizzato nell'Università di Delft in Olanda, è il più piccolo disco rigido al mondo. Ancora non si può dire, però, se verrà mai commercializzato

Un'immagine al microscopio del disco rigido atomico

Prima che qualcuno possa entusiasmarsi, bisogna esser chiari: se mai accadrà, ci vorrà davvero tanto tempo per vedere, disponibile sugli scaffali di un negozio di elettronica, questa invenzione. Anzi, secondo alcuni sono molto più elevate le possibilità che non si vada al di là della semplice sperimentazione scientifica e la strada della commercializzazione resti preclusa. Sia come sia, la scoperta fatta dagli scienziati dell'Università di Delft in Olanda ha le potenzialità per rivoluzionare – o comunque indicare una nuova strada – il settore dello storage.

Un team di otto fisici – due fisici teorici e sei fisici applicati – diretto dal professor Sander Otte ha realizzato il più piccolo hard disk al mondo. Grande una manciata di atomi, ha una densità di archiviazione molto elevata. Si tratta di un disco rigido di appena 3 centimetri quadrati in grado di archiviare fino a 500 terabit di dati (equivalente a uno spazio archiviazione di 62,5 terabyte, 500 volte superiore a quella delle soluzioni di storage oggi in commercio). Tutti i libri della biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, ad esempio, potrebbero essere salvati in un cubo di appena 0,1 millimetri di lato.

 

Data center

 

Il segreto sta nelle modalità di archiviazione dati pensata e realizzata dai ricercatori olandesi. Le celle di memoria di questo hard disk minuscolo sono realizzate utilizzando degli atomi, la struttura fisica nella quale è normalmente organizzata la struttura della materia nel mondo fisico e in natura. I bit, infatti, sono immagazzinati all'interno di un reticolo di atomi di un particolare elemento chimico, stabile a temperature bassissime (-210 gradi centigradi).

Come funziona l'hard disk atomico

Alla base del disco rigido più piccolo al mondo troviamo un sottile foglio di rame su cui viene steso uno strato di cloro. La scelta è ricaduta su questo elemento chimico per un motivo molto semplice: il cloro è in grado di formare naturalmente una griglia di atomi dai contorni ben precisi e delineati. Ciò ha consentito alla squadra del professor Otte di realizzare delle strutture a matrice 8X8 all'interno delle quali inserire gli atomi (di fatto, celle di memoria da 8 bytes ovvero 64 bit) separati l'uno dall'altro da un piccolo vuoto "chimico".

 

 

In questo schema, ogni posizione lasciata vuota (chiamata, in gergo tecnico, vacancies) all'interno della struttura a matrice del blocco di memoria rappresenta lo 0. Al contrario una posizione riempita con gli atomi di cloro rappresenta l'1. La struttura a matrice, inoltre, consente agli scienziati di "manipolare" a piacimento gli atomi e posizionarli in modo semplice e immediato. Proprio come se giocassero a un puzzle, sfruttano l'infrastruttura preesistente sul foglio di rame per facilitare il posizionamento degli atomi di cloro collocandoli con estrema precisione nella posizione voluta.

A svolgere il ruolo di testina del disco rigido troviamo un microscopio a effetto tunnel (STM, Scanning Tunnel Microscope), un dispositivo altamente tecnologico utilizzato solitamente per studiare la superficie atomica dei materiali. In questo caso, invece, un STM è utilizzato per "muovere" gli atomi all'interno della struttura a matrice, riempiendo i blocchi di memoria a seconda dei dati da scrivere.

Lettura e scrittura

Questa modalità di lavoro, seppur perfettamente funzionale agli scopi della ricerca, è ben lungi dall'essere anche efficiente. Come affermato dallo stesso professor Otte, seppur completamente automatizzata, la procedura di scrittura di un blocco di dati richiede circa 10 minuti, mentre la lettura, molto più rapida, arriva comunque a richiedere un paio di minuti.

 

Disposizione degli atomi per la creazione delle celle di memoria

 

Allo stato dell'arte, il team olandese non vede alcuna limitazione fisica a una velocizzazione dell'intero processo di lettura e scrittura dei dati, ma gli ostacoli tecnologici esistenti non sono affatto da sottovalutare. Per mantenere l'operatività del sistema, infatti, è necessario operare in condizioni di vuoto assoluto e a temperature di almeno 210° centigradi sotto lo 0 (temperature raggiungibili soltanto con l'utilizzo di azoto liquido).

Rivoluzione data center

Anche se lo spazio archiviazione negli hard disk e nelle memorie degli smartphone sembra non bastare mai, la scoperta fatta dai fisici olandesi potrebbe interessare soprattutto chi gestisce data center. Se davvero fosse possibile trovare applicazione pratica all'invenzione olandese, i "grandi magazzini" dei dati sarebbero i primi a beneficiarne, sotto molti punti di vista. Innanzitutto sul piano delle dimensioni.

Potendo salvare una quantità così elevata di dati in uno spazio estremamente ridotto consentirebbe di ridurre drasticamente le dimensioni degli ambienti dedicati ai server e alle altre infrastrutture di rete necessarie alla distribuzione dei dati in tutto il mondo. Il corollario di questa possibile evoluzione dei data center e dello storage riguarda la salvaguardia dell'ambiente e la riduzione dei consumi energetici. Server e hard disk di dimensioni ridotte implicano, automaticamente, una riduzione del fabbisogno elettrico dei dispositivi stessi.

 

Un estratto di un libro salvato sul disco rigido atomico

 

Sviluppo nanotecnologico

Come visto, al momento non è possibile dire se la ricerca del team olandese troverà mai applicazione pratica. Il professor Otte, comunque, si dice soddisfatto dell'eco internazionale che il suo progetto sta ottenendo. Anche perché mostra chiaramente i progressi compiuti nel campo delle nanotecnologie e le infinite possibilità che questo settore offre.

A cura di Cultur-e
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