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Batterie a durata illimitata, a che punto siamo con la tecnologia

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Gli scienziati stanno lavorando a delle nuove batterie dalla durata illimitata che potenzialmente potrebbero non scaricarsi mai. I tre progetti più interessanti

Batteria infinita sommart sombutwanitkul/Shutterstock

Uno dei sogni ricorrenti dell’uomo moderno è sicuramente quello di una batteria che non si scarica mai. 

Immaginiamo un mondo dove non ci sia più bisogno di ricaricare i propri dispositivi elettronici, con la possibilità di avere a portata di mano congegni senza fili ma dall’autonomia illimitata (o quasi); un’immagine sicuramente ben lontana dallo stato attuale delle cose ma che, secondo gli scienziati, potrebbe concretizzarsi nel giro di “pochi” anni, grazie a dei nuovissimi modelli di batterie che potrebbero mantenere la carica pe anni. Scopriamo di cosa si tratta.

Il progetto di Betavolt New Energy Technology 

Batteria del futuro

Fahroni/Shutterstock

Tra le primissime aziende a raggiungere questo ambizioso traguardo della batteria che non si scarica, c’è la Betavolt New Energy Technology con sede a Pechino.

La società ha realizzato una batteria nucleare ottenendo una durata di circa 50 anni, probabilmente molto più della vita media di un qualsiasi dispositivo elettronico commerciale, ma che effettivamente potrebbe spianare la strada a utilizzi ben più interessanti.

Immaginiamo, ad esempio, in campo medico con un pacemaker a cui non debba mai essere cambiata la batteria. Oppure un qualsiasi dispositivo elettronico da lanciare nello spazio o da utilizzare nell’esplorazione delle profondità della terra, come un micro robot o un drone di piccolissime dimensioni pronto a viaggiare in totale autonomia per decenni.

Senza entrare troppo nello specifico, possiamo dire che il funzionamento di questa batteria dipende da un semiconduttore al diamante in grado di convertire l’energia nucleare in energia elettrica. 

Le batterie nucleari potrebbero avere una durata media di circa 50 anni, un compromesso ottimo per essere utilizzate in campo medico

Ad alimentare questa tecnologia c’è l’isotopo 63 di nichel (63Ni) che garantisce efficienza, adattabilità (non emettono radiazioni e possono essere utilizzate in un range di temperature dai -60 fino ai 120 °C), sicurezza (sono progettate per evitare esplosioni e surriscaldamenti) e, ovviamente, una certa durata che come già detto arriva intorno ai 50 anni.

Oltretutto, parliamo di un prodotto sostenibile, con l’isotopo 63Ni che una volta finito il suo ciclo di vita si trasforma in un isotopo stabile di rame, eliminando quindi il rischio di scarti radioattivi difficili da riciclare.

In più stando alle prime dichiarazioni dell’azienda produttrice, gli studiosi hanno lavorato anche a un processo di smaltimento più immediato e molto più vantaggioso economicamente parlando, rispetto allo smaltimento di una classica batteria.

Al momento, Betavolt New Energy Technology sta lavorando principalmente a un sistema per miniaturizzare il componente e, eventualmente, adattarlo alle varie esigenze.

Il prossimo passo è l’efficientamento della produzione, nel tentativo di abbassare il costo del prodotto finale e agevolare la produzione su larga scala e una maggiore diffusione di questa tecnologia che, ottimisticamente, potrebbe arrivare sul mercato (anche ad uso civile) anche in tempi ragionevolmente brevi.

Il progetto dell’università di Bristol

Batteria

asharkyu/Shutterstock

Un altro progetto molto interessante proviene dall’Università di Bristol dove i ricercatori stanno lavorando a delle batterie betavoltaiche a base di diamante in grado di trasformare i rifiuti nucleari in una fonte di energia che può durare migliaia di anni.

Il funzionamento di questa tecnologia è relativamente semplice, si prendono delle particolari scorie nucleari, come il carbonio-14 (che tra l’altro emette delle radiazioni che non sono nocive per l’uomo), e vengono utilizzate per produrre elettricità, tramite degli appositi processi di lavorazione.

Il risultato di questi processi è una batteria in grado di dissipare efficacemente il calore garantendo all’utente anche un certo grado di robustezza, cosa che rende questi componenti potenzialmente indistruttibili.

Trasformare i rifiuti nucleari in batterie potrebbe aiutare nella produzione di batterie che non si scaricano mai o quasi, pur producendo un ridotto quantitativo di energia

In questo senso, però, è bene ricordare che queste batterie sono in grado di generare un piccolo quantitativo di energia che, per ora, non è sufficiente per uno smartphone, ad esempio, o per qualsiasi altro congegno elettronico.

Possono invece essere utilizzati per tutta una serie di dispositivi e di sensori a basso consumo, garantendo un’autonomia davvero importante, visto anche un assorbimento ridotto.

Il progetto della Northwestern University

Batteria green

petrmalinak/Shutterstock

Un team di ricercatori della Northwestern University sta lavorando a un dispositivo che può essere posizionato nel terreno e raccogliere l'energia prodotta dai batteri che distruggono i materiali organici e può funzionare fino a che nel terreno è presente del carbonio.

Questa tecnologia esiste da moltissimo tempo, e pur non essendo una vera e propria batteria, è in grado di produrre energia, sfruttando la presenza di quei microorganismi che si nutrono delle sostanze nel terreno.

In questo senso però, non si tratta di un congegno portatile, e oltretutto con questo sistema produce un basso quantitativo di energia, cosa che almeno per il momento limita molto gli usi pratici. Si pensi che al momento gli scienziati sono riusciti, al massimo, ad alimentare i sensori per rilevare i dati della ricerca.

Produrre energia dal terreno potrebbe portare a batterie economiche e sostenibili, anche se al momento ancora non proprio efficienti

Perciò, ammesso e non concesso che questa tecnologia possa avere un futuro, potrebbe avere utilizzi molto specifici, come in agricoltura, ad esempio, oppure all’interno delle stazioni per il rilevamento dei dati atmosferici.

Oltretutto per funzionare a dovere, c’è bisogno di particolarissime condizioni che devono garantire, ad esempio, una bassa umidità del terreno e presenza continua di acqua e ossigeno.

Ma il vero punto a favore di questa tecnologia è la sua "semplicità" con tutti i componenti necessari per realizzare questo progetto che, potenzialmente, potrebbero essere acquistati anche in un qualsiasi negozio di ferramenta, rappresentando di fatto una soluzione molto economica. 

A cura di Cultur-e
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